mercoledì 15 ottobre 2014

Con la sola imposizione delle mani....

Lo psicologo relazionale e le richieste magiche del sistema scuola



Inizia l'anno scolastico, e molti colleghi si troveranno a lavorare con insegnanti, alunni e famiglie in progetti di promozione del benessere.
Ma le richieste che vengono fatte allo psicologo a scuola sono sempre centrate?

Lavorando all’interno delle scuole capita infatti di ricevere richieste impossibili, che possono mettere alla prova le nostre competenze ed esporre i nostri interventi a rischio di fallimento. Come svelarle, rispondere ed intervenire? La formazione sistemico relazionale rafforza ed arricchisce la possibilità di riformulare la domanda e ipotizzare l'intervento nell’ambito lavorativo non terapeutico, come ad esempio le richieste di intervento psicologico da parte degli Istituti Scolastici. Possiamo concepire, infatti, la scuola come un insieme di diversi livelli che hanno ruoli, funzioni, stili comunicativi diversi gli uni dagli altri: un sistema complesso costituito da soggetti diversi per età, ruolo, competenze e professionalità, la cui convivenza non sempre risulta semplice e da cui emergono differenti e diversificate domande di cambiamento più o meno consapevoli e paradossali.


Nel corso degli anni di pratica professionale è stato possibile rispondere a diverse richieste di intervento partendo dall’analisi e dalla riformulazione della domanda per la realizzazione di interventi. La complessità del sistema scolastico e la “bizzarria” delle richieste ingenue e oscure allo stesso tempo, ha rappresentato una sfida nel mantenere una posizione ed una competenza professionale per garantire un intervento il più possibile valido ed efficace. Nel lavoro da noi presentato al Congresso SIPPR abbiamo riportato alcuni aneddoti esplicativi e rappresentato alcune situazioni realmente incontrate sul campo cogliendone gli aspetti paradossali ed inserendoli in una riflessione rispetto alla natura di un intervento sistemico in un contesto non terapeutico.

Lo psicologo a scuola: dove quando e perchè

La nostra presenza a scuola si configura come quella di consulenti esterni: spesso lo psicologo non trova, infatti, posto nell'organigramma della scuola ed è presente come libero professionista o appartenente ad enti, associazioni ed istituzioni del territorio. Tale condizione di “senza ruolo”  espone alle aspettative irrealistiche di coloro che si trovano in situazioni di disagio e all’attribuzione irrazionale di competenze ed abilità, fino ad arrivare ad aspetti taumaturgici: ci è infatti capitato di essere state fermate nei corridoi dell’istituto ricevendo affettuosi complimenti da parte di un’insegnante per l’efficacia del nostro intervento in 1 C… classe nella quale non eravamo neanche entrate!

Generalmente chi contatta lo psicologo a scuola, presidi e insegnanti, propone “casi” affinché il consulente intervenga direttamente o fornisca “consigli terapeutici” o  facili ricette. Il richiedente appare come “diagnosta” o “terapeuta impotente”  (Palazzoli, 1976). A volte la posizione di aspirante “terapeuta” dell’insegnante emerge con ingenuità "Dottoressa, ma davvero vengono a parlare con lei??? Eppure mi sembra così strano, visto che ci sono io che ci parlo tanto...“ , non senza punte di competizione e rivalità.

Nella nostra esperienza la maggior parte delle richieste di intervento fatte da singoli o da piccoli gruppi di insegnanti mirano prevalentemente ad una presa in carico di un “allievo-classe problema”: una vera e propria delega del problema (e quindi della sua risoluzione, ma senza risorse, tempi e “potere”) allo specialista venuto da fuori con l’attribuzione dei fattori di disagio a cause esterne all’ambiente scolastico. E’ necessario passare dalla ricerca di cause del disagio esterne alla scuola all’identificazione e all'analisi dei processi interattivi in atto all'interno della classe o dell’istituto che favoriscono lo sviluppo di situazioni di malessere, o che contribuiscono a renderle croniche. La scuola non è impermeabile a quanto succede nel contesto sociale e familiare; tuttavia un intervento focalizzato esclusivamente questi fattori esterni è destinato a fallire.

Lo scenario che si prefigura quando riceviamo una richiesta è quello di interventi di tipo:
  1. VALUTATIVO-GIUDIZIARIO: in cui veniamo chiamati per esaminare i casi di alunni problematici o classi problematiche spesso in sedi di decisioni su bocciature o sospensioni. Ad esempio:  “Dottoressa può fare un intervento in I k, così si rende conto della situazione”
  2. TERAPEUTICO es. La professoressa ci presenta alla classe “Buongiorno ragazzi, questa è la psicologa, starà qui con voi per capire che problemi avete e per curarvi”
  3. CONSULENZA PEDAGOGICA es.“Dottoressa, ci insegni a dare le regole"

Per effettuare il nostro intervento è necessario passare da interventi valutativi-terapeutici-pedagogici alla costruzione di uncontesto collaborativo. Ogni volta che ci siamo confrontate con un problema, è stato importante procedere con un’ attenta analisi della domanda, interrogandoci sui tentativi di soluzioni adottate. È diventata prassi quella di collocare la segnalazione di un caso di un alunno o di un gruppo classe fatta da un insegnante nel più ampio contesto del consiglio di classe: per ridefinire la situazione come una specifica disfunzione di persone che comunicano con persone e non attraverso una punteggiatura arbitraria. L’obiettivo dello psicologo relazionale a scuola è, infatti, costruire un intervento che, come avviene nella terapia della famiglia, utilizzi le informazioni, stabilendo fra esse collegamenti diversi, con l'aiuto e la collaborazione dei membri del sistema scolastico e di quello familiare laddove possibile, per giungere a una nuova struttura di connessione che sia plausibile e che offra allo stesso tempo una visione alternativa nuova e convincente della realtà.

mercoledì 26 marzo 2014

Gli amori briciola


Recensione a "Gli amori briciola" di Umberta Telfener, edizioni Magi, 2013


Una volta, durante una vacanza in Andalusia, una signora di Granada cucinò per me un piatto tipico della zona: "las migas". "Migas" si traduce con briciole, e il piatto andaluso si prepara con briciole di pane secco, aglio, olio e peperoni dolci, tutto cotto in padella. Un piatto molto buono, saporito, che necessita di una lunga e attenta cottura.

Non so come se la cavi in cucina Umberta Telfener, e non so se abbia mai cucinato "las migas"... Però credo di sapere come se la cava come terapeuta: conosco, per averla letta e sentita, quanta competenza abbia e metta nel suo lavoro.
Mossa da curiosità per aver già apprezzato i suoi libri precedenti, ho da poco letto il suo ultimo lavoro "Gli amori birciola. Quando le relazioni sono asciutte". Il libro mi è piaciuto molto e conferma non solo la conoscenza che la Telfener ha dei più complicati meccanismi relazionali e sistemici, ma anche la sua capacità di spiegare in una maniera semplice e coinvolgente alcuni fenomeni complessi come le relazioni di coppia al tempo della modernità.

La Telfener, come quella brava cuoca andalusa di cui vi parlavo, prende alcune briciole, quelle di uomini e donne che danno poco di sé agli altri, e ne elabora un testo veramente interessante e gustoso. Le briciole di cui parla la Telfener non sono quelle del pane, ma rappresentano secondo l'autrice una categoria di persone: quelle che nei rapporti danno poco, e vivono la vita relazionale mantenendosi sempre a distanza di sicurezza. Spesso vincenti nella vita, occupati oltre ogni dire, in carriera, "riusciti", non riescono nelle relazioni a dare molto più di piccoli residui affettivi. 
La Telfener ci aveva abituato all'indagine delle relazioni di coppia. Ma dimenticatevi "Ho sposato un narciso", perché i briciola con i narcisi non c'entrano niente: i secondi infatti nelle relazioni a modo loro ci stanno (d'accordo, le sabotano, ma non le mollano), mentre i primi nelle storie si affacciano (con iniziale passione e travolgimento, i felloni!!), ne godono, e ne escono rapidamente. Insomma, i briciola non si sposano...

Indagando le loro storie, la Telfener ci spiega che i briciola provengono da famiglie affettivamente aride, dove il senso del dovere è elevato a culto, e la vita non è mai gioiosa, mai solare, ma sempre pesante. Danno poco di sé nelle relazioni perché tirchi, perché troppo impegnati.
Rispetto ai narcisi, gruppo maggiormente maschile, i briciola sono indifferentemente uomini e donne, una categoria "non definita e assolutamente non psichiatrica, trasversale alla personalità", persone "così spostate su se stesse da non avere spazio per un altro accanto a sé".

Las migas è una ricetta figlia di un'emergenza: terra povera, l'Andalusia, fatta di gente povera, però ingegnosa: e dal niente, dal pane secco, ecco comparire una pietanza articolata. Leggendo il libro della Telfener viene da pensare che allo stesso modo gli amori briciola siano il frutto di una relazionalità che si adatta al momento storico in cui viviamo: rapido, egocentrato, carrieristico, esclusivo. Un momento nel quale, come dice l'autrice "assistiamo a una riduzione spettacolare del mondo interiore".  Dal poco, ecco comparire una relazione: i briciola, dice la Telfener, ti portano fino in cielo, poi però ti lasciano lì perché senza nessun segnale, senza anticipo, spariscono. L'amore in un tweet: appassionato, travolgente, istantaneo e senza pretese....

Proprio perché interessanti, intelligenti e appassionati, i briciola sono anche molto pericolosi: li si sceglie per varie ragioni (non ultima una certamente comoda similitudine); se disposti a compromessi (molti) ci si può anche convivere, ma spesso nelle relazioni briciola si resta semplicemente impigliati.... ed è difficile poi farsi una ragione dell'abbandono ("eravamo così appassionati e felici"!).

Oltre alla brillantezza e all'interesse, "Gli amori briciola" ha in comune con "Ho sposato un narciso" un certo effetto collaterale... Quello che, finito di leggere, ti porta a scandagliare l'elenco di tutti gli ex  (o le ex) e cominciare la divisione: briciola sì, briciola no... Per arrivare in fondo e tirare un sospiro di sollievo: "finalmente ho capito!! Non ha funzionato perché era un/una tirchio/tirchia emotivo!!!" Certo, saranno anche soddisfazioni briciola... Però sappiamo che con tante briciole si può creare una cena veramente appetitosa!

giovedì 23 gennaio 2014

Più psicologi e meno farmaci

Il commento di Guglielmo Pepe su La Repubblica


Il 21 Gennaio scorso su Repubblica è apparso un trafiletto di Guglielmo Pepe intitolato "Più psicologi e meno farmaci". Pepe sostiene che, soprattutto in questo momento di crisi, la psicologia potrebbe dare un significativo contributo alla promozione della salute e alla prevenzione.

Ma la psicologia è ancora la "sorella povera" delle scienze mediche: non riconosciuta, non conosciuta, spesso derisa.  Pepe sostiene che "per voltar pagina servirebbe l’aiuto dei medici. Che però hanno una cultura soprattutto farmacocentrica".

Chiunque faccia questo lavoro sa che quello che scrive Pepe è verissimo: manca una cultura generale sui benefici che un intervento psicoterapeutico serio potrebbe portare alle persone che esprimono un disagio.
Dall'altro lato, manca agli psicologi la capacità di far conoscere il proprio lavoro, e sicuramente manca alle nostre rappresentanze locali e nazionali la capacità di fare lobbyng.

Nel 2006 alcuni ricercatori della London School of Economics hanno pubblicato un lavoro in cui si sostiene che la programmazione basata su investimenti per la prevenzione e la cura psicoterapeutica dei più diffusi disturbi psicologici riduce drasticamente la spesa sanitaria e incide significativamente sul Pil nazionale.

In Italia di questo non si parla: sembra che la cultura farmacologica sia ancora la risposta di elezione per il trattamento degli stati di sofferenza. Fatto ancora più discrepante se si pensa, ad esempio, al pensiero di Franco Basaglia e all'esperienza di Psichiatria Democratica. Discrepante, ma non sconvolgente: è risaputo che siamo un Paese dalla memoria corta, e che, come Alice nel Paese delle Meraviglie, siamo bravissimi a darci consigli che però seguiamo raramente.

Penso che spostare il dibattito su un piano contenutistico sarebbe importantissimo, ma nel breve periodo rischierebbe di lasciarci inascoltati. Per fortuna, il lavoro della Londo School of Economics ci fornisce dati certi per  parlare del nostro lavoro con la lingua che oggi va più di moda, quella dei conti e dei bilanci: investire in psicoterapia costa meno, fa risparmiare, dà risultati più efficaci e più duraturi. 

In un momento storico e politico in cui misuriamo a colpi di Pil qualsiasi cosa, mi stupisce che nel nostro Paese non vengano prese in considerazione modalità di ristrutturazione della spesa sanitaria che tengano conto di studi come questo: investire in psicoterapia è, in realtà, un risparmio per i cittadini.




martedì 7 gennaio 2014

Master in psicoterapia sistemico-relazionale 2014

Il CSAPR Centro Studi Applicazione Psicologia Relazionale di Prato organizza per il biennio 2014-2015 il Master in Psicoterapia Relazionale Sistemica per Psicologi e Medici già in possesso dell'abilitazione all'esercizio dell'attività psicoterapeutica.

L'inizio del Master è previsto per Febbraio 2014


Tutti i dettagli sulla struttura del corso, sulle modalità di iscrizione, su costi, possono essere richiesti all'indirizzo:
 
segreteria@csapr.it



Con l'occasione pubblico alcuni video inseriti su You tube alcune delle interviste fatte all'apertura del Congresso della SIPPR di Marzo 2013 da Elisangelica Ceccarelli per TVR-Teleitalia 7 Gold: