martedì 29 ottobre 2013

Le nuove dipendenze. Analisi e pratiche di intervento.

Quaderno Cesvot n°52 sul tema delle nuove dipendenze


Ciascuno di noi ha una propria immagine che associa alla parola “dipendenza”: ci possono venire in mente scene del film “Trainspotting”, qualche frase del libro “Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino”, oppure immagini televisive che raccontano di marginalità e esclusione. L’immaginario collettivo sul tema della dipendenza è ricco e variegato, e fino a qualche anno fa quando si parlava di “dipendenze” ci si riferiva esclusivamente a comportamenti associati all'uso di sostanze.

Il termine “dipendenze” viene oggi sempre più associato all'aggettivo “nuovo”, per delineare alcuni comportamenti o abitudini, spesso legati a contesti socialmente accettati, dei quali non possiamo fare a meno: lo shopping, il gioco, la navigazione su internet, sono solo alcuni esempi, anche se molto significativi.  Le “nuove dipendenze”, non a caso chiamate anche “dipendenze sociali”, fanno riferimento a comportamenti comuni, spesso anche incentivati, che non presentano caratteristiche di illegalità o trasgressività: questo le rende ancora più “subdole” e spesso di difficile individuazione rispetto alle dipendenze da sostanze.  Gli alti costi sociali e sanitari che si stanno affrontando a causa dell’emergere di queste nuove tipologie di dipendenze hanno portato il tema all'attenzione di ricercatori, servizi e opinione pubblica, attivando una serie di progetti di prevenzione o intervento.

Vista la rilevanza dell’argomento e l’importanza di attivare progetti di prevenzione, soprattutto fra gli adolescenti, la Regione Toscana, sul bando “Contributi regionali per la promozione della cultura della legalità democratica (L.R. 11/99”) – Anno 2009, ha finanziato il progetto “Scommetti che t’impegni?” gestito da un partenariato di associazioni e scuole al quale ho partecipato come socia dell'associazione 89rosso. L’obiettivo generale del progetto svoltosi nell'anno scolastico 2009-2010, è stato quello di sensibilizzare giovani e adulti rispetto al tema delle vecchie e nuove dipendenze, stimolando l’impegno personale e sociale come promozione di una cultura responsabilizzante.
Questi obiettivi sono stati raggiungi attraverso lo sviluppo di una ricerca-azione e grazie a interventi educativi mirati all'interno delle scuole, favorendo un uso consapevole del denaro, del gioco e di internet e attivando interventi di prevenzione mirati. I risultati della ricerca azione, assieme a altri contributi teorici di rilievo, saranno pubblicati dal Cesvot all'interno del Quaderno n°52 "Le nuove dipendenze. Analisi e pratiche di intervento" curato da Valentina Albertini e Francesca Gori (Vai al Quaderno Cesvot)
Abbiamo ritenuto infatti fondamentale diffondere informazioni sul tema delle nuove dipendenze fra le associazioni di volontariato, in quanto spesso proprio il volontariato si trova a operare in contesti di presa in carico di persone che presentano problemi connessi a questo tema.

Vai al numero di Pluraliweb dedicato alle Nuove Dipendenze 

Che cosa possono dirci le neuroimmagini sulla mente umana?

Seminario con Carlo Umiltà e Giovanni Galfano 

Sabato 16 Novembre 2013 h 10:00-18:30 
sede C.S.A.P.R.
Viale Vittorio Veneto, 78 - 59100 Prato


Neuroeconomia, neuromarketing, neuroestetica, neuroteologia...: si affacciano oggi sulla scena nuove e 
sempre più fantasiose discipline frutto del cortocircuito tra saperi antichi e scoperte recenti sul 
funzionamento del cervello. Sui media proliferano articoli divulgativi, corredati da foto a colori del cervello, che ci mostrano il luogo preciso dove si sviluppa un certo pensiero o una certa emozione, facendoci credere che sia possibile vedere direttamente, senza mediazioni, il cervello al lavoro. Ma le cose stanno veramente così? 
Il seminario affronterà alcuni luoghi comuni associati alla relazione mente-corpo, cervello-psiche, 
natura-cultura, mettendoci in guardia dalle ricadute culturali che un uso distorto delle possibilità aperte dalle 
nuove e potenti tecnologie di neuroimmagine può comportare.

Lo sguardo degli altri è uno stimolo molto importante nella vita quotidiana in quanto fornisce informazioni
che possono aiutarci a inferire la presenza nell’ambiente di stimoli potenzialmente interessanti o minacciosi
al di fuori del nostro fuoco attentivo. E’ ormai noto che la nostra attenzione è particolarmente sensibile alla
direzione dello sguardo altrui. Infatti, quando fissiamo il volto di una persona che repentinamente sposta gli
occhi verso la periferia del campo visivo, tendiamo a spostare la nostra attenzione nella stessa direzione. A
dispetto della natura fortemente sociale dello stimolo “sguardo” e di altri stimoli con i quali entriamo in
contatto quotidianamente, per anni la psicologia cognitiva ha colpevolmente trascurato le possibili
interazioni fra orientamento dell’attenzione e stimoli sociali. Scopo del seminario è illustrare le ricerche più
recenti condotte per cercare di colmare questa lacuna. L’obiettivo è quello di dimostrare l’importanza e
l’utilità di un approccio interdisciplinare per un più proficuo studio dei processi cognitivi e per aumentare le
potenziali ricadute applicative (anche e soprattutto in ambito clinico) delle ricerche condotte nel contesto
della psicologia sperimentale.

lunedì 7 ottobre 2013

Compagni di scuola




La mediazione linguistico-culturale in ambito scolastico

 Nell’ambito della psicologia sociale e di comunità, varie ricerche coincidono nell’affermare che la scuola rappresenta il nodo centrale per l’integrazione della popolazione immigrata di più giovane età. Recentemente, alcune ricerche in ambito nazionale hanno dimostrato come enti quali la scuola rivestono un ruolo fondamentale per determinare l’esito del percorso di integrazione di bambini ed adolescenti (Pomicino, Romito, Paci 2008). 

In età adulta, l’esperienza di immigrazione può comportare quello che viene definito stress da transuculturazione: repentini cambiamenti di ambiente ed abitudini di vita che coinvolgono sia gli aspetti strutturali, che quelli processuali dell’identità. Queste difficoltà possono venire ampliate se l’esperienza migratoria viene vissuta nelle fasi dell’infanzia e dell’adolescenza, momenti fondamentali per la costruzione e la strutturazione identitaria. 

Inoltre, anche per i figli di migranti nati in Italia, il processo di costruzione dell’identità è comunque più complesso, mancando un “prima” e un “dopo” che riescano a definire il proprio passato e il proprio futuro. Se i genitori  migranti hanno, infatti, una solida identificazione con la loro cultura di origine che li lega alla propria storia, oltre ad un progetto migratorio definito che rappresenta il loro futuro, ai loro figli manca spesso questo “ieri” e questo “domani”: non hanno un riferimento al passato, e il loro futuro è più incerto di quello della generazione precedente (Mazzetti 2003). In questo processo dinamico di costruzione di identità e sostegno, è importante quindi pensare la scuola come uno dei supporti fondamentali, un luogo dove i bambini e gli adolescenti stranieri possano “ricucire lo strappo fra il dopo e il prima”:

 

per il recupero delle loro radici hanno bisogno di riconoscerne il valore. È possibile agevolarli creando un’atmosfera di rispetto e di valorizzazione per la loro terra di origine […]. Perché si sentano di appartenere all’Italia, bisogna aiutarli a costruirsi un nuovo progetto di vita qui, a costruire fantasie su come saranno da grandi nella nuova patria. E per rammendare lo “strappo” tra il dopo e il prima, occorre aiutarli a ricostruire una storia i cui vari elementi della loro biografia, ma anche quella dei loro familiari, trovino un senso reciproco, e si uniscano qui nel presente (Mazzetti 2003, pag. 167)

La scuola, inoltre, rappresenta un punto di incontro e inclusione importante non solo per i figli: la riuscita e il benessere scolastico sono stati considerati da alcuni autori come indicatori significativi dell’adattamento al Paese ospitante della famiglia nel suo complesso (Portes, Rumbaut 1990; Mancini, Secchiamoli 2003). Inoltre, da un lavoro che ha coinvolto genitori italiani, genitori stranieri e insegnanti in alcune scuole di Milano è stato sottolineato come nei contesti scolastici le relazioni fra italiani e migranti, sia quelle che riguardano i bambini che quelle relative ai genitori, vengano vissute in maniera poco problematica, a differenza di quanto accade ad esempio nei quartieri di residenza, dove le relazioni fra cittadini autoctoni e migranti sono vissute in maniera più complessa e conflittuale (Brunazzi, Marando, Colombo 2008).

Sulla scuola gravano quindi aspettative elevate rispetto al tema dell’accoglienza degli alunni (e, indirettamente, delle famiglie) stranieri. A fronte del pregiudizio per il quale questa professione è stata sempre considerata “soft”, l’insegnamento è oggi diventato molto più problematico rispetto a quanto sia mai stato nel passato. In una ricerca che ha analizzato le due microaree della professione, cioè quella didattica-educativa e quella socio-relazionale, è stato sottolineato come, accanto a programmi didattici sempre più dettagliati e alla realizzazione di progetti in orario extra scolastico, sia cambiato profondamente il modo degli alunni e delle famiglie di relazionarsi alla scuola: agli insegnanti viene richiesta una maggiore capacità di lavorare in rete con i colleghi, di relazionarsi con le famiglie, e di affrontare i problemi dei cambiamenti delle classi dovuti all’aumento di alunni stranieri (Giusino, Arcuri, Novara 2008). Tali modifiche rendono oggi al professione dell’insegnamento una delle più esposte a rischio burnout. Una efficace preparazione del personale docente può favorire i processi di integrazione degli alunni stranieri: la scuola rischia però di divenire un contenitore sul quale si concentrano elevate aspettative senza che vengano realmente dati a docenti, personale ATA, dirigenti, i reali strumenti e le risorse utili a una gestione produttiva delle difficoltà derivate dalla presenza di bambini stranieri. 
 
Esiste un interessante studio condotto su un gruppo di 182 insegnanti della scuola dell’obbligo rispetto al tema della scuola multiculturale (Francani, 2004 citato in Mancini 2006). Da questa ricerca emerge il quadro di una scuola a volte impreparata a gestire tutti i problemi che la presenza di alunni stranieri comporta per il sistema scolastico: circa un terzo degli insegnanti intervistati si dichiara ottimista rispetto all’integrazione scolastica, mentre quasi 4 su 10 appaiono scettici, mostrando una visione assimilazionista della società. Ma il dato maggiormente preoccupante riguarda quei 3 insegnanti su 10 che si dichiarano intolleranti sia nei confronti dell’integrazione che rispetto alla presenza di alunni stranieri, considerati una delle cause di peggioramento della scuola italiana.
Al di là delle complesse problematiche che la pedagogia interculturale comporta, da un punto di vista psicosociale viene sottolineata la carenza di ricerche volte a verificare se e in quale misura l’atteggiamento degli insegnanti incida sulle modalità con le quali bambini e adolescenti migranti “negoziano” gli aspetti etnico-culturali della loro identità (Mancini 2006). Questo problema cruciale diviene il collegamento ideale per inserire il tema della mediazione linguistico-culturale nella scuola: in un lavoro del 1998 svolto nel Comune di Bologna veniva infatti sottolineato come una importante funzione del mediatore a scuola fosse quella di “rinforzo dell’autostima e dell’identità” dei bambini stranieri. I bambini sembrano infatti vedere il mediatore come “uno di loro”, che però sta al di là della cattedra (Tarozzi, 2006).

È partendo da queste premesse che ci siamo avvicinati al tema della mediazione interculturale nella scuola, tenendo cioè in profonda considerazione la difficoltà relazionale che comporta gestire da un lato una classe dove sono presenti alunni stranieri, e dall’altro, la complessità del processo di integrazione. Nel corso del 2009 abbiamo svolto all’interno di un progetto finanziato dalla Comunità europea un’indagine sulla percezione dell’utilità della mediazione linguistico-culturale nel sistema scolastico. L’intera ricerca è stata pubblicata nel Quaderno Cesvot n°47 dal titolo “La mediazione linguistico-culturale. Stato dell’arte e potenzialità”. 
 
È interessante notare come, secondo quanto espresso dai partecipanti ai focus group portati avanti all'interno del progetto, la mediazione linguistico-culturale nella scuola sia percepita come un’attività molto più complessa di quanto non sembri ad un primo sguardo: la mediazione  non è più vista come scambio e facilitazione alunno-insegnate, ma appare come uno strumento da utilizzare all’interno della rete più ampia e di un sistema che coinvolge sia l’istituzione scolastica, che la famiglia, che il territorio di riferimento.

Nelle nostre interviste  emerge come una criticità significativa il problema della delega impropria da parte delle famiglie e dei docenti nei confronti dei mediatori. Alcuni autori hanno sottolineato come questo rischio fosse diminuito negli ultimi anni grazie a una maggiore definizione del ruolo e della funzione dei mediatori:

più in generale rispetto al rischio di delega eccessiva che riscontravo nella ricerca di dieci anni fa, l’affermazione e il riconoscimento diffuso di questa figura ha fatto sì che le aspettative eccessive restino, ma la delega forse no. Anzi si registra sempre più spesso da un lato il rifiuto da parte di certe famiglie di accettare l’intervento di un mediatore culturale percepito come un invadente strumento di assimilazione, e, dall’altro, un controllo più serrato del suo operato da parte degli insegnanti che pure lo impiegano ma tendono a non delegargli troppe funzioni (Tarozzi 2006)

Nel caso dei nostri insegnanti e formatori questa percezione non coincide: nell’intervista emerge invece come l’attivazione di un mediatore per una classe possa rappresentare una richiesta di supporto nella gestione dell’aula: si corre il rischio di incorrere in un processo di delega per cui il mediatore diventa una sorta di “insegnante di sostegno” per gli alunni stranieri, una sorta di “enzima” al quale viene chiesto di velocizzare il processo di inserimento senza in realtà coinvolgere il sistema-scuola nel suo insieme.

L'imagine pubblicata in questo post è di proprietà della Rivista Pluraliweb di Cesvot.

martedì 1 ottobre 2013

CSPR Prato- Master in Psicoterapia Relazionale Sistemica

Il CSAPR Centro Studi Applicazione Psicologia Relazionale di Prato organizza per il biennio 2014-2015 il Master in Psicoterapia Relazionale Sistemica per Psicologi e Medici già in possesso dell'abilitazione all'esercizio dell'attività psicoterapeutica.

L'inizio del Master è previsto per Febbraio 2014


Tutti i dettagli sulla struttura del corso, sulle modalità di iscrizione, su costi, possono essere richiesti all'indirizzo:
 
segreteria@csapr.it



Con l'occasione pubblico alcuni video inseriti su You tube alcune delle interviste fatte all'apertura del Congresso della SIPPR di Marzo 2013 da Elisangelica Ceccarelli per TVR-Teleitalia 7 Gold: