martedì 21 maggio 2013

Dipende da cosa



La classificazione delle dipendenze secondo il modello di Luigi Cancrini


Uno degli studiosi che ha contribuito in maniera significativa l’ampliarsi del dibattito circa l’intervento nell’ambito delle tossicodipendenze è Luigi Cancrini. Cancrini ha sviluppato una classificazione delle differenti tipologie di tossicomanie creata sulla base delle dipendenze da sostanze, ma che a tutt’oggi rappresenta una mappa concettuale utilizzabile anche nei confronti di situazioni con dipendenze comportamentali o “nuove dipendenze”. Questo è possibile perché, nonostante ogni storia sia un caso unico e abbia degli aspetti di singolarità dei quali bisogna tener conto in fase di presa in carico o cura, il meccanismo psicologico generale che porta una persona ad avere un problema di dipendenza è lo stesso e non si rilevano sostanziali differenze sia che si tratti di una dipendenza da sostanza sia che si tratti di una dipendenza senza sostanza.

Secondo Cancrini e La Rosa (2001) le tossicodipendenze sono una forma di presentazione dei problemi di svincolo e delle difficoltà di individuazione.
I criteri che gli autori utilizzano per la creazione della loro classificazione sono diversi: l’organizzazione e il modello comunicativo della famiglia del tossicodipendente; l’organizzazione psicologica che descrive i tratti del carattere e la personalità del tossicodipendente; le caratteristiche dei comportamenti di assunzione della sostanza elettiva; le modalità di rapporto che il tossicodipendente e/o i suoi familiari tendono a stabilire con gli operatori e/o con i servizi che si occupano di loro; le forme e il decorso di intervento terapeutico.

Il modello suddivide quattro principali categorie di tossicomani:

A.        Tossicomanie traumatiche
B.        Tossicomanie di area nevrotica
C.        Tossicomanie di transizione
D.        Tossicomanie sociopatiche

4.1 Tossicomanie traumatiche o A

La situazione famigliare in cui questa forma di tossicomania si presenta ha caratteristiche piuttosto diversificate: si tratta, in alcuni casi, di un figlio/a ritenuto esemplare, ma abituato a tenere per sé i propri problemi, che crolla, diventando tossicodipendente, di fronte all’esperienza di un grave trauma. Nella maggior parte dei casi si tratta di adolescenti che hanno da poco definito la loro identità, o di giovani adulti non impegnati sentimentalmente o solo di recente impegnati in una relazione di coppia, la cui nuova rete di relazioni è inadeguata al momento del bisogno creato dal dolore e dal lutto. Il lutto è in genere legato alla perdita di una persona cara, ma può anche riferirsi alla perdita della fede in un’idea o in una persona. 

La sostanza serve per attenuare una sofferenza o uno stato di tensione molto forte e, allo stesso tempo mettere in secondo piano le problematiche irrisolte precedenti all’evento luttuoso, con lo scopo non dichiarato e talvolta non cosciente di mantenere il quadro relazionale dominante in quel gruppo familiare.
Lo sviluppo della tossicodipendenza avviene in breve tempo perché repentino è il cambiamento di stile di vita dove la sostanza diventa di colpo il centro di tutto proteggendo l’individuo da una situazione di panico e di sofferenza molto violenta. Il comportamento di questo tipo di tossici può essere, nei casi più gravi, teatrale e autodistruttivo: il tentativo non è quello di ricevere piacere, ma di stordirsi.
Dal punto di vista terapeutico, le tossicomanie di tipo A rispondono alla terapia; il recupero può essere totale se la droga non ha causato danni fisici persistenti; il lavoro da svolgere è centrato sulla tematizzazione e la verbalizzazione del lutto ed è indicato un lavoro individuale.

            4.2 Tossicomanie di area nevrotica o B

Dal punto di vista sistemico la struttura familiare in cui si sviluppa questo tipo di tossicodipendenza prevede:
a)         il coinvolgimento forte di uno dei genitori (solitamente quello di sesso opposto) nella vita e nella tossicodipendenza;
b)         il ruolo periferico dell’altro genitore;
c)         l’evidenza di quella che viene definita “triangolo perverso”; ossia l'alleanza non dichiarata tra un genitore e un figlio contro l'altro genitore.
d)        la debolezza dei confini tra i sottosistemi che definiscono la gerarchia familiare. Quello dei genitori è un sottosistema che dovrebbe essere differenziato da quello del/i figlio/i: in questo tipo di situazioni la posizione del piano della coppia e quello dei figli non è sempre ben definita né armonica e si può assistere ad una vera e propria inversione nelle funzioni di genitore e di figlio.
e)         lo sviluppo di una polarità che definisce la figura del figlio/a tossicomane come “cattivo” in rapporto ad un altro figlio/a “buono”;
f)         un modello comunicativo caratterizzato dalla contraddittorietà dei messaggi, dalla rapidità e dalla violenza di sviluppo dei messaggi.

Questo tipo di tossicomania è caratterizzato dalla connotazione depressiva dell’abitudine (assenza di elementi relativi al “piacere”) e dall’atteggiamento dimostrativo con provocazioni spesso rivolte a coloro che vengono percepiti responsabili, molto spesso i genitori.
Dal punto di vista terapeutico, il lavoro deve essere centrato sin dall’inizio sul controllo dei comportamenti sintomatici attraverso la costituzione di un fronte unito da parte dei genitori; il tentativo di lavorare individualmente con queste persone è abitualmente del tutto inutile.

4.3.      Tossicomanie di “transizione” o C

Il termine indica quei tossicomani la cui organizzazione difensiva prevede un’ampia utilizzazione di meccanismi nevrotici e psicotici.
Dal punto di vista clinico la situazione presenta:
1)         stati di esaltazione gioiosa (ipomaniacale o manifestatamene maniacale) caratteristici dei primi anni ed espressione di quella che è stata chiamata “luna di miele” con la sostanza;
2)         importanti e ripetuti stati depressivi, frequenti poi in fasi successive della tossicodipendenza;
3)         difficoltà del paziente, dei genitori e di chi osserva a collegare l’evoluzione della tossicodipendenza con fatti specifici della vita della persona;
4)         rischio di suicidio, soprattutto quando il ricorso alla droga viene bruscamente interrotto;
5)         tendenza al mantenimento nel tempo di una dipendenza marcata (affettiva, organizzativa, economica) dalla famiglia d’origine;
6)         rischio di ricadute.

Lo stile comunicativo in queste famiglie evidenzia interessanti analogie con le famiglie con problemi di svincolo, (con questa espressione si fa riferimento alla difficoltà, e talvolta impossibilità, di lasciare la famiglia d’origine per avviare la costruzione di un proprio nucleo familiare); in particolare si ritrova la difficoltà estrema di non definire la relazione e l’uso di messaggi paradossali e incongrui, col risultato di una estrema difficoltà comunicativa tale da rendere molto complesso capire il significato reale di quello che viene detto, in un perenne stato di insoddisfazione circa la relazione; i membri mostrano infatti una diffusa tendenza a ignorare il significato del messaggio degli altri.
I genitori sono ambedue coinvolti nella tossicodipendenza o nella vita del figlio/a. In questo tipo di famiglie, come in quelle con un paziente psicotico, esiste quello che Mara Selvini Palazzoli ha chiamato il “membro prestigioso”.
Per quanto riguarda l'intervento, questo tipo di tossicomania è molto difficile da trattare. Trattandosi di problemi di svincolo l’indicazione è quella del lavoro con l’intera famiglia.

4.4  Tossicomanie “sociopatiche” o D

Le tossicomanie “sociopatiche” o D sono caratterizzate:
a)         dall’evidenza di comportamenti antisociali prima dello sviluppo della tossicodipendenza e della presenza di condizioni di svantaggio sociale e culturale;
b)         dall’atteggiamento di sfida del tossicodipendente che si comporta con la freddezza e la provocazione di una persona incapace di amare e dalla sua percezione di un ambiente ostile intorno a sé;
c)         dal distacco con cui parla della sua abitudine, dalla frequenza di politossicomanie e dalla sottovalutazione degli effetti della droga.
Le storie di questi pazienti sono quelle delle famiglie multiproblematiche. Il disadattamento di questi giovani si evidenzia nelle difficoltà scolastiche avute e poi nello scontro con le regole imposte dalla società durante l’adolescenza.
I modelli comunicativi e l’organizzazione familiare di questo tipo di tossicodipendenti sono simili a quelli riscontrati nelle tossicomanie di tipo B. Nei casi più seri corrispondono a quelli riscontrati nelle famiglie disimpegnate: i ruoli tra genitori e figli non sono ben definiti come neppure i confini tra i sottosistemi, col risultato che queste famiglie  si presentano come un gruppo profondamente e drammaticamente disorganizzato i cui membri si muovono come se fossero isolati tra loro, senza alcuna reciproca e apparente interdipendenza.
Il tossicomane di tipo D conduce una vita da marginale intraprendendo spesso una carriera deviante o, nei casi più gravi, di un’istituzionalizzazione cronica.
A livello terapeutico l’aggancio e gli sviluppi positivi in una terapia convenzionale sono in questi casi rari e difficili. Tuttavia si è potuto vedere che la combinazione di più passaggi terapeutici può produrre degli effetti positivi: si tratta di organizzare una “catena terapeutica” in cui più imprese posano collaborare. L’intervento in comunità può essere in questi casi particolarmente utile come punto di arrivo, colmando le gravi carenze a livello di rapporti sociali e familiari.


Breve bibliografia:
Quei temerari sulle macchine volanti. Studio sulle terapie dei tossicomani,  Cancrini Luigi, 1982, Carocci Editore

Schiavo delle mie brame. Storie di dipendenza da droghe, gioco d'azzardo, ossessioni di potere  Cancrini Luigi, 2003, Frassinelli Editore


Guida alla psicoterapia Cancrini Luigi, 2004, Editori Riuniti
 

L'oceano borderline. Racconti di viaggi  Cancrini Luigi, 2006, Cortina Raffaello  Editore

lunedì 13 maggio 2013

Fra il vecchio e il nuovo / 2

 Le dipendenze e le connessioni con lo studio della personalità



Quando si parla di "nuove dipendenze" non possiamo dimenticarci che, al di là del tipo di sostanza o del comportamento, quello di cui dobbiamo prenderci cura è la persona che presenza il problema e, appunto, la sua personalità.

Rispetto a questo, Luigi Cancrini (2004) spiega come il significato psicopatologico dei comportamenti legati alla dipendenza sia divenuto più chiaro negli ultimi anni con il parallelo evolvere degli studi relativi al funzionamento borderline della mente umana.

Funzionare a livello borderline significa essenzialmente dare giudizi estremi su noi stessi e sulla realtà che ci circonda. La mente che funziona a questo livello fa difficoltà a cogliere le gradazioni di positività e negatività in una stessa persona o in uno stesso oggetto. Ma tale funzionamento è anche uno dei modi in cui la mente umana può operare, e può addirittura fare parte dello sviluppo evolutivo: per il bambino che vive un’angoscia di separazione, la madre presente è “la madre buona” che lo rende felice, la madre assente è “la strega cattiva” che lo rende pieno di rabbia. Solo verso i tre anni quando, secondo la teoria della mente, il bambino riesce a ricordare che la madre c’era e riesce ad immaginare mentalmente che ci ci sarà ancora, questa fase critica viene superata. Il superamento dell’angoscia di separazione rappresenta l’avvenuta integrazione tra l’immagine della madre cattiva con quella buona.

La tendenza a regredire verso forme di funzionamento borderline emerge anche in età adulta, quando si vivono situazioni di particolare tensione: nei passaggi evolutivi critici, nel lutto o nella perdita, negli entusiasmi basati sull’identificazione proiettiva con un’idea o con una persona, nell’innamoramento.

Per alcune persone è però molto più facile scivolare in questo tipo di funzionamento rispetto ad altre. Se si guarda bene si vede che il processo di maturazione caratteristico delle persone più “sane” si realizza solo se il bambino cresce in un ambiente favorevole e non va incontro ad incidenti gravi. In questi casi la capacità di integrare le rappresentazioni buone e cattive di sé e dell’altro non si sviluppa compiutamente. Chi ha sofferto da piccolo ha difficoltà sue proprie a stabilire rapporti equilibrati e costruttivi anche quando cresce. La realtà con cui ci si confronta è quella di bambini che hanno avuto problemi nei loro secondi 18 mesi di vita, che vanno incontro a una serie di esperienze poco fortunate nell’adolescenza e che diventano protagonisti, da grandi, di storie caratterizzate da una sostanziale inadeguatezza nelle relazioni interpersonali più importanti. La struttura di personalità che emerge analizzando le loro storie è caratterizzata proprio dalla particolare facilità con cui la persona regredisce a livelli di funzionamento borderline. Nelle persone che rischiano di diventare dipendenti la soglia di attivazione del funzionamento psichico è bassa e si abbassa ulteriormente con l’acuirsi della condizione di dipendenza. Si innalza invece nel corso di un processo psicoterapeutico riuscito. 

Dato che le situazioni che stanno fra la nevrosi e la psicosi sono molto numerose e portatrici della propria specificità, secondo Cancrini ciò che conta, nella diagnosi e nella terapia di una persona dipendente è soprattutto il suo particolare e specifico disturbo di personalità: “chi si occupa di dipendenza, infatti, deve sempre sapere che la sostanza o l’abitudine da cui una persona dipende costituiscono l’aspetto meno specifico del suo intervento terapeutico; la parte più specifica e personale inizia dopo, quando ci si confronta, tentando di offrire delle alternative vincenti, con i bisogni particolari del soggetto: bisogni coperti o compensati, finora, proprio dalla sua condizione di dipendenza" (Cancrini, 2004).

Breve bibliografia:
Quei temerari sulle macchine volanti. Studio sulle terapie dei tossicomani,  Cancrini Luigi, 1982, Carocci Editore

Schiavo delle mie brame. Storie di dipendenza da droghe, gioco d'azzardo, ossessioni di potere  Cancrini Luigi, 2003, Frassinelli
Editore

Guida alla psicoterapia Cancrini Luigi, 2004, Editori Riuniti
 

L'oceano borderline. Racconti di viaggi  Cancrini Luigi, 2006, Cortina Raffaello  Editore

venerdì 3 maggio 2013

Fra il vecchio e il nuovo/1


Le nuove dipendenze e il bisogno di nuove riflessioni

In questi giorni, dopo i fatti di cronaca che abbiamo purtroppo conosciuto attraverso i giornali, si fa un gran
parlare della dipendenza da gioco e delle dimensioni che questo problema sta prendendo nel nostro Paese.
Occorre secondo me iniziare a riflettere seriamente anche sui meccanismi psicologici alla base dei comportamenti di dipendenza per poter mettere in atto serie strategie non solo di intervento, ma anche di prevenzione.  Nel nostro quotidiano, siamo infatti abituati a parlare di dipendenze riferendosi alle sostanze illegali. Negli ultimi anni invece si osserva un ampliamento del campo di utilizzo del termine “dipendenza” in riferimento a comportamenti, abitudini, situazioni legali delle quali non possiamo fare e meno e che non hanno alcuna connessione con l’assunzione di sostanze. Si tratta di una dipendenza di tipo psicologico, che si ritiene essere più “sfuggente” rispetto alla dipendenza fisica, in quanto fa riferimento a meccanismi difficilmente evidenziabili, per cui il desiderio irrefrenabile di assumere una sostanza, come anche di trovarsi in una determinata situazione, di consumare qualcosa di non poter fare a meno di qualcuno, non è in relazione con le caratteristiche della sostanza stessa e con le conseguenze biochimiche dell’assunzione (Coletti 2004).
Già nel 1969 un comitato di esperti dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) propone la seguente nozione di dipendenza:

Stato psichico, e alcune volte anche fisico, che risulti dall’interazione tra un organismo vivente e un farmaco e che si caratterizza con delle modificazioni del comportamento e con altre reazioni le quali contemplano sempre una pulsione a prendere una sostanza in modo continuo o periodico, al fine di ritrovare i suoi effetti psichici e  a volte per evitare il malessere della privazione. Questo stato può accompagnare o no una tolleranza. Lo stesso individuo può essere dipendente da più sostanze (Margaron, 2000).

Secondo questa definizione il processo della dipendenza è un prodotto dell’interazione fra persona, sostanza e contesto: si aprono le porte ad un tentativo di spiegare la dipendenza come conseguenza di un processo estremamente complesso nel quale intervengono più fattori.

I primi presupposti sistemici (ai quali qui si fa riferimento) propongono una visione dell’individuo come un essere sociale il cui comportamento è comprensibile alla luce delle relazioni all’interno delle quali è inserito; in questa definizione viene sottolineato l’aspetto comunicazionale di ogni evento e azione, compreso il comportamento sintomatico. Rigliano (1998) formula una definizione della dipendenza molto densa di significato: “La dipendenza è ciò che risulta dall’incrocio tra il potere che la sostanza ha e il potere che quella persona è disposta ad attribuire alla sostanza” (Rigliano, 1998).

Nonostante questo, esiste ancora un forte dibattito tra i sostenitori dell’origine organica delle dipendenze, sia psicologiche che non, e coloro che invece leggono il coinvolgimento organico come conseguenza del consumo e abuso che proviene piuttosto da fattori psicologici e sociali.
Alcuni neuropsichiatri (Inversen, 1999) si concentrano sul ruolo della dopamina (un neurotrasmettitore prodotto dal cervello) nello scatenare bisogni di assunzione di sostanze; altri ricercatori suggeriscono come alcuni individui posseggano una specifica condizione cerebrale che li rende vulnerabili alla dipendenza. In particolare sembra oramai accertato (Coletti, 2004) che nell’apparato cerebrale si possano identificare strutture neuronali deputate alla ricompensa ed alla punizione e che le modalità per ricercare la ricompensa ed il piacere possano essere considerate alla base di quei meccanismi per cui un essere umano cerca proprio quella sostanza, quegli effetti. Queste strutture neuronali sono considerate in relazione con l’ambiente sociale, che ne plasma i limiti e le caratteristiche.
Gli approcci organici però non sono più utilizzabili qualora si prenda in considerazione il ricorso ripetuto, angoscioso e totalizzante che alcuni individui hanno verso situazioni, piuttosto che sostanze. Sempre Coletti sostiene che “l’eliminazione dall’orizzonte degli studi delle sostanze e dei loro effetti ricercati, rende non plausibili (o, almeno non del tutto utilizzabili) tutti gli apporti delle scienze neurobiologiche” (Coletti, 2004).

Secondo Croce (2001) è stato finora eccessivo l’interesse per i modelli medici o biologici di spiegazione del fenomeno del gioco d’azzardo patologico, anche perché questi non hanno offerto alcuna conclusione condivisa ne' alcuna evidenza scientifica delle ipotesi eziopatogenetiche. Secondo il punto di vista sistemico i comportamenti di addiction sembrano rispondere a meccanismi relazionali: le abitudini a comportamenti rischiosi si inseriscono perfettamente nei confronti delle esigenze non solo di un individuo e delle sue spinte interne, ma anche riguardo al bisogno di introdurre nel funzionamento di un sistema determinati elementi che sono legati a doppio filo alla organizzazione del sistema stesso in tutta la sua autoreferenzialità. In questa veste, ad esempio, la dipendenza da Internet, che per sua natura attrae molto le persone giovani, potrebbe far pensare ad una risposta legata a problemi inerenti alla fase del giovane adulto che nello spazio virtuale trova una risposta distorta a problemi tipici di questo momento del ciclo vitale.

La dipendenza, per essere tale, deve essere capace di soddisfare tre bisogni fondamentali (Cancrini, 2004): il primo è quello che si gioca sul piano del piacere o sulla caduta di una tensione; il secondo si basa sul contrasto al disegno consapevole di una persona e dell’ambiente che lo circonda che magari lo vorrebbe, a parole, capace di lavorare, amare, divertirsi, ed invece nei fatti il soggetto si trova impossibilitato a causa della dipendenza; il terzo bisogno è quello relativo al piano della trasgressione, dell’essere e del presentarsi diverso, fuori dalle regole che scadenzano la quotidianità vissuta come inaccettabile.
Se soddisfa tutte queste esigenze, l’oggetto “delle brame”, che si tratti di una sostanza, come di un comportamento e/o un’abitudine, diventa il protagonista assoluto della vita, intorno al quale la persona si concentra o su cui sente di poter riflettere tutti i suoi desideri e tutti i suoi bisogni.

Vai al Quaderno Cesvot "Le nuove dipendenze. Analisi e pratiche di intervento"