Il commento di Guglielmo Pepe su La Repubblica
Il 21 Gennaio scorso su Repubblica è apparso un trafiletto di Guglielmo Pepe intitolato "Più psicologi e meno farmaci". Pepe
sostiene che, soprattutto in questo momento di crisi, la psicologia potrebbe
dare un significativo contributo alla promozione della salute e alla
prevenzione.
Ma la psicologia è ancora la "sorella povera"
delle scienze mediche: non riconosciuta, non conosciuta, spesso derisa. Pepe sostiene che "per voltar pagina
servirebbe l’aiuto dei medici. Che però hanno una cultura soprattutto
farmacocentrica".
Chiunque faccia questo lavoro sa che quello che scrive Pepe
è verissimo: manca una cultura generale sui benefici che un intervento
psicoterapeutico serio potrebbe portare alle persone che esprimono un disagio.
Dall'altro lato, manca agli psicologi la capacità di far
conoscere il proprio lavoro, e sicuramente manca alle nostre rappresentanze
locali e nazionali la capacità di fare lobbyng.
Nel 2006 alcuni ricercatori della London School of Economics
hanno pubblicato un lavoro in cui si sostiene che la programmazione basata su
investimenti per la prevenzione e la cura psicoterapeutica dei più diffusi
disturbi psicologici riduce drasticamente la spesa sanitaria e incide
significativamente sul Pil nazionale.
In Italia di questo non si parla: sembra che la cultura
farmacologica sia ancora la risposta di elezione per il trattamento degli stati
di sofferenza. Fatto ancora più discrepante se si pensa, ad esempio, al
pensiero di Franco Basaglia e all'esperienza di Psichiatria Democratica.
Discrepante, ma non sconvolgente: è risaputo che siamo un Paese dalla memoria
corta, e che, come Alice nel Paese delle Meraviglie, siamo bravissimi a darci
consigli che però seguiamo raramente.
Penso che spostare il dibattito su un piano contenutistico
sarebbe importantissimo, ma nel breve periodo rischierebbe di lasciarci
inascoltati. Per fortuna, il lavoro della Londo School of Economics ci fornisce
dati certi per parlare del nostro lavoro
con la lingua che oggi va più di moda, quella dei conti e dei bilanci:
investire in psicoterapia costa meno, fa risparmiare, dà risultati più efficaci
e più duraturi.
In un momento storico e politico in cui misuriamo a colpi di
Pil qualsiasi cosa, mi stupisce che nel nostro Paese non vengano prese in
considerazione modalità di ristrutturazione della spesa sanitaria che tengano
conto di studi come questo: investire in psicoterapia è, in realtà, un
risparmio per i cittadini.
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