Recensione del libro “Ricorsività in psicoterapia. Riflessioni sulla pratica clinica” di Umberta Telfener e Marco Bianciardi, Edizioni Bollati Boringhieri 2014
Nelle segrete del Castello d’If descritte fra le pagine de “Il Conte di Montecristo”, il giovane Edmond Dantés viene istruito dall’abate Faria che gli spiega come “imparare non è sapere; ci sono gli eruditi e i sapienti: è la memoria a fare i primi, ma è la filosofia che fa i secondi”. Quando ho letto questa frase, ho pensato che rappresentasse in pieno cosa accade nella formazione dei terapeuti: i primi anni di training sono infatti incentrati ad assorbire un modello di lavoro, un paradigma, e (forse soprattutto) delle tecniche. Cerchiamo di capire come si FA. Insomma vogliamo, con le parole dell’abate Faria, diventare eruditi, per sentirci più sicuri e formati.
Il libro di Umberta Telfener e Marco Bianciardi “Ricorsività in psicoterapia. Riflessioni sulla pratica clinica” ci porta invece a riflettere sul passo successivo, quello che serve nella lunga, lunga strada per provare a diventare “sapienti”. E tutti i sapienti partono inizialmente dalla presa di coscienza della propria ignoranza.
L’ottica del libro è quella della psicologia postmoderna, quella che si “interroga dunque su come io narro me a me stesso, su come gli altri mi narrano, su come questi due ordini di narrazioni si co-costruiscono ”. Gli autori mettono al centro del lavoro il concetto di RICORSIVITA’, che per noi sistemici è insieme punto di partenza e di arrivo di ogni processo terapeutico. Cosa significa in terapia agire e pensare in termini ricorsivi? Può una relazione terapeutica esistere senza che il terapeuta si fermi a pensare il pensiero, diagnosticare la diagnosi, narrare il racconto?
Cercando di rispondere a questi importanti interrogativi gli autori ci accompagnano in maniera chiara e lineare in un percorso di riflessione che viaggia sempre al limiti del paradosso (la ricorsività rischia di diventare una spirale infinita..) senza farci mai sentire sperduti.
Leggere il lavoro di Telfener e Bianciardi è un toccasana di questi tempi, tempi in cui ci vengono richieste tecniche veloci di intervento e alcuni paradigmi terapeutici che fanno della rapidità il loro punto di forza sono sulla cresta dell’onda. Gli autori ci obbligano invece a riflettere, a fermarci, ad andare più piano. Riflettere non tanto sulle tecniche che utilizziamo, ma su ciò che SIAMO quando siamo in terapia, e su ciò che FACCIAMO quando facciamo terapia. La ricorsività è un processo apparentemente infinito che ci rende più sapienti: ci obbliga a pensare a come pensiamo e riflettere su come riflettiamo. Solo così infatti, in un processo di secondo ordine, fare terapia acquisisce veramente un senso.
Lavorare in maniera ricorsiva parte dalla consapevolezza di ciò che sappiamo di sapere ma anche (e soprattutto) di ciò che sappiamo di non sapere… per arrivare a ciò che non sappiamo di sapere (l’intuito! L’inconscio!) e ciò che non sappiamo di non sapere.
Il libro di Umberta Telfener e Marco Bianciardi non è un libro su come si fa terapia, ma è uno spazio in cui fermarsi a riflettere. Un momento per pensare il pensiero e prenderci cura del processo di cura. Un luogo di riflessione su ciò che stiamo facendo e perché, che è il primo ingrediente per ciò che mi hanno insegnato essere il punto centrale di ogni lavoro terapeutico: la responsabilità.
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