martedì 19 gennaio 2016

Breve recensione del Libro “Conversazioni sulla psicoterapia” di Luigi Cancrini, Giuseppe Vinci (Alpes Italia, 2013)



Una volta ho partecipato ad una bella cena fra colleghi, persone che avevano già condiviso un percorso di studi, e al momento condividevano un lavoro, degli obiettivi, un senso comune nel fare le cose. Durante quella cena, come spesso accade, parlammo molto di ”psicocose” e scivolammo pian piano in una conversazione particolare e molto stimolante. Finimmo infatti a parlare del nostro fare terapia, ma anche del nostro diventare, e in parte essere, terapeuti. Come stavamo svolgendo il nostro lavoro, la forza che ci guidava, le paure che ci frenavano. In un’atmosfera di attivo rilassamento, ognuno contribuiva con un pensiero, una riflessione, tutti a loro modo generali ma al contempo essenziali e puntuali. Tornata a casa, ho raccontato quanto fosse stata interessante quella cena, quanto avessi colto da quella conversazione così generale e personale, quanto fosse stato importante trovare uno spazio di riflessione informale così arricchente. Subito, è arrivata la domanda “di che cosa avete parlato?”. E io non ho saputo rispondere. Perché in quella cena avevamo parlato davvero del nostro piccolo tutto, ma dire “di tutto” era troppo squalificante perché sembrava un modo diverso di dire “di niente”, e non era così. Però mettersi a spiegare di cosa avevamo parlato voleva dire ripetere tutta la cena, perché ogni frase era stata importante e il riassunto sembrava una banale riduzione e non avrebbe reso onore alla serata.

Ecco la difficoltà di trasmettere i contenuti di una bella conversazione. La stessa difficoltà la incontro adesso a scrivere una recensione del libro “Conversazioni sulla psicoterapia” (di Luigi Cancrini e Giuseppe Vinci, Editore Alpes Italia, 2013). Si tratta di  una lettura allo stesso tempo scorrevole e complessa, aggettivi che secondo me sono difficili da affiancare quando parliamo di testi professionali. Gli autori sviluppano il testo come una reale conversazione, una discussione fluida in cui uno propone un argomento e l’altro offre il proprio punto di vista, e viceversa, in uno scambio continuo e articolato. Un punto di vista fatto di conoscenza professionale, di esperienza lavorativa, di studio, ma anche di vita e di esperienze personali. Non è un libro su come si fa terapia: è un libro su cosa vuol dire essere terapeuti.

Cancrini e Vinci ci fanno entrare nella loro conversazione e ci parlano di cosa significhi oggi fare la nostra professione, di come si può diventare un buon terapeuta, di come questo lavoro si inserisca in maniera strutturale nella storia personale e quindi dello sviluppo di quella stessa storia sia in parte responsabile.

Riflettono insieme su cosa sia il cambiamento e su quanto sia difficile aiutare le persone a cambiare, cambiando allo stesso tempo noi stessi. Si interrogano sulla difficile relazione fra psicoterapia e medicina, e fra psicoterapeuti e medici. Fanno delle riflessioni sul concetto di etica e responsabilità, e poi ci portano nella cruda realtà delle carceri, degli Opg, passando attraverso un percorso storico sulla Legge 180 e sul contributo dato dall’approccio sistemico-relazionale a questo cambiamento, che non si è ancora concluso. Parlano della crisi delle coppie e delle famiglie di oggi, di come sia cambiato l’essere genitori e come questo si rifletta sui figli e sullo sviluppo delle loro personalità. Questo libro è inoltre una conversazione sul nostro essere uomini e donne che attraverso la terapia hanno scelto un lavoro, ma anche una cura. Come dicevo, parla del “nostro tutto”. E questo è veramente lontano dal generico “tutto e niente”.

Durante l’ultimo congresso SIPPR sono rimasta molto colpita da una frase detta da qualcuno (non ricordo chi, e me ne scuso) durante la plenaria di apertura: “non siamo persone eccezionali, ma persone normali che fanno un lavoro eccezionale”. Queste parole le ho accolte come una motivazione e, confesso, con un sospiro di sollievo, perché ci troviamo di fronte alle responsabilità forti che il nostro lavoro comporta, e sapere che puoi permetterti tutta l’umanità che hai (che però, come ci ricordano Vinci e Cancrini, devi conoscere a fondo), è stato un conforto e una nuova spinta.           
Oggi, dopo aver letto “Conversazioni sulla terapia” mi sento ancora più motivata, ma anche più confortata. La strada è lunga, va percorsa un passo alla volta perché durerà tutta la vita.

Per fortuna l’ottica sistemico-relazionale ci obbliga a stare nel mondo e a comprenderne la storia, e i nostri pazienti ogni volta ci insegnano qualcosa. Ma è fondamentale sapere che chi ha più esperienza è lì, pronto a guidarci e aiutarci. Perché noi terapeuti siamo persone normali che hanno avuto maestri eccezionali. Anche se loro non sempre lo sanno. 

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