giovedì 19 settembre 2013

II CONVEGNO GIOVANI S.I.P.P.R.

L'approccio sistemico relazionale ed i suoi contesti di applicazione

Sabato 22 Febbraio 2014 a Milano si terrà un Convegno Speciale S.I.P.P.R.  dei Soci Clinici e Didatti iscritti negli ultimi sei anni e/o di età  inferiore ai 42 anni.

I Soci che desiderino presentare il proprio contributo, dovranno inviare  un abstract a infoconvegni@sippr.it, compilando il form scaricabile dal sito www.sippr.it. Il materiale degli abstract va inviato entro e non oltre il 31 Ottobre  2013.

La partecipazione sarà interamente gratuita sia per i relatori sia per i  Soci SIPPR in regola con le quote sociali, sia per gli studenti delle scuole di specializzazione che universitari. Agli iscritti esterni verrà richiesta una quota di iscrizione di euro 30 + IVA.

Ai fini organizzativi, per le iscrizioni è necessario rivolgersi a

CENTRO PANTA REI    Via Omboni, 7  -  20129   Milano
E-mail: pantarei@centropantarei.it
Tel/Fax 02. 29523799

martedì 27 agosto 2013

Con la sola imposizione delle mani....



Lo psicologo relazionale e le richieste magiche del sistema scuola



Al Congresso SIPPR che si è svolto a Prato dal 7 al 9 Marzo 2013 insieme ad alcune colleghe abbiamo presentato un intervento sulle richieste ambigue del sistema-scuola nei confronti dello psicologo. Lavorando all’interno delle scuole capita infatti di ricevere richieste impossibili, che possono mettere alla prova le nostre competenze ed esporre i nostri interventi a rischio di fallimento. Come svelarle, rispondere ed intervenire? La formazione sistemico relazionale rafforza ed arricchisce la possibilità di riformulare la domanda e ipotizzare l'intervento nell’ambito lavorativo non terapeutico,  come ad esempio le richieste di intervento psicologico da parte degli Istituti Scolastici. Possiamo concepire, infatti, la scuola come un insieme di diversi livelli che hanno ruoli, funzioni, stili comunicativi diversi gli uni dagli altri: un sistema complesso costituito da soggetti diversi per età, ruolo, competenze e professionalità, la cui convivenza non sempre risulta semplice e da cui emergono differenti e diversificate domande di cambiamento più o meno consapevoli e paradossali.


Nel corso degli anni di pratica professionale è stato possibile rispondere a diverse richieste di intervento partendo dall’analisi e dalla riformulazione della domanda per la realizzazione di interventi. La complessità del sistema scolastico e la “bizzarria” delle richieste ingenue e oscure allo stesso tempo, ha rappresentato una sfida nel mantenere una posizione ed una competenza professionale per garantire un intervento il più possibile valido ed efficace. Nel lavoro da noi presentato al Congresso SIPPR abbiamo riportato alcuni aneddoti esplicativi e rappresentato alcune situazioni realmente incontrate sul campo cogliendone gli aspetti paradossali ed inserendoli in una riflessione rispetto alla natura di un intervento sistemico in un contesto non terapeutico.

Lo psicologo a scuola: dove quando e perchè

La nostra presenza a scuola si configura come quella di consulenti esterni: spesso lo psicologo non trova, infatti, posto nell'organigramma della scuola ed è presente come libero professionista o appartenente ad enti, associazioni ed istituzioni del territorio. Tale condizione di “senza ruolo  espone alle aspettative irrealistiche di coloro che si trovano in situazioni di disagio e all’attribuzione irrazionale di competenze ed abilità, fino ad arrivare ad aspetti taumaturgici: ci è infatti capitato di essere state fermate nei corridoi dell’istituto ricevendo affettuosi complimenti da parte di un’insegnante per l’efficacia del nostro intervento in 1 C… classe nella quale non eravamo neanche entrate!

Generalmente chi contatta lo psicologo a scuola, presidi e insegnanti, propone “casi” affinché il consulente intervenga direttamente o fornisca “consigli terapeutici” o  facili ricette. Il richiedente appare come “diagnosta” o “terapeuta impotente  (Palazzoli, 1976). A volte la posizione di aspirante “terapeuta” dell’insegnante emerge con ingenuità "Dottoressa, ma davvero vengono a parlare con lei??? Eppure mi sembra così strano, visto che ci sono io che ci parlo tanto...“ , non senza punte di competizione e rivalità.

Nella nostra esperienza la maggior parte delle richieste di intervento fatte da singoli o da piccoli gruppi di insegnanti mirano prevalentemente ad una presa in carico di un “allievo-classe problema”: una vera e propria delega del problema (e quindi della sua risoluzione, ma senza risorse, tempi e “potere”) allo specialista venuto da fuori con l’attribuzione dei fattori di disagio a cause esterne all’ambiente scolastico. E’ necessario passare dalla ricerca di cause del disagio esterne alla scuola all’identificazione e all'analisi dei processi interattivi in atto all'interno della classe o dell’istituto che favoriscono lo sviluppo di situazioni di malessere, o che contribuiscono a renderle croniche. La scuola non è impermeabile a quanto succede nel contesto sociale e familiare; tuttavia un intervento focalizzato esclusivamente questi fattori esterni è destinato a fallire.

Lo scenario che si prefigura quando riceviamo una richiesta è quello di interventi di tipo:
  1. VALUTATIVO-GIUDIZIARIO: in cui veniamo chiamati per esaminare i casi di alunni problematici o classi problematiche spesso in sedi di decisioni su bocciature o sospensioni. Ad esempio:  “Dottoressa può fare un intervento in I k, così si rende conto della situazione”
  2. TERAPEUTICO es. La professoressa ci presenta alla classe “Buongiorno ragazzi, questa è la psicologa, starà qui con voi per capire che problemi avete e per curarvi”
  3. CONSULENZA PEDAGOGICA es.“Dottoressa, ci insegni a dare le regole"

Per effettuare il nostro intervento è necessario passare da interventi valutativi-terapeutici-pedagogici alla costruzione di un contesto collaborativo. Ogni volta che ci siamo confrontate con un problema, è stato importante procedere con un’ attenta analisi della domanda, interrogandoci sui tentativi di soluzioni adottate. È diventata prassi quella di collocare la segnalazione di un caso di un alunno o di un gruppo classe fatta da un insegnante nel più ampio contesto del consiglio di classe: per ridefinire la situazione come una specifica disfunzione di persone che comunicano con persone e non attraverso una punteggiatura arbitraria. L’obiettivo dello psicologo relazionale a scuola è, infatti, costruire un intervento che, come avviene nella terapia della famiglia, utilizzi le informazioni, stabilendo fra esse collegamenti diversi, con l'aiuto e la collaborazione dei membri del sistema scolastico e di quello familiare laddove possibile, per giungere a una nuova struttura di connessione che sia plausibile e che offra allo stesso tempo una visione alternativa nuova e convincente della realtà.

martedì 25 giugno 2013

Fra il vecchio e il nuovo /3



Una breve definizione di "nuove dipendenze"


Per “new addictions” si intendono alcune nuove tipologie di dipendenze nelle quali non è implicato il coinvolgimento di sostanze chimiche, ma l’oggetto della dipendenza è un comportamento o un’attività lecita o socialmente accettata come lo shopping, il gioco d’azzardo, l’utilizzo di Internet, il lavoro, il sesso, le relazioni sentimentali.
Le nuove dipendenze, o dipendenze sociali (senza sostanza) si manifestano nell’urgente necessità di dover praticare un’attività, di dover mettere in atto un comportamento per trovare immediata soddisfazione ad un bisogno. Per questo, anche se non vi è assunzione di sostanze chimiche, il quadro fenomenologico è molto simile e, anzi, sembra essere per certi versi ancora più subdolo di quello delle dipendenze da sostanza. Se da una parte vengono messi in atto comportamenti che producono le stesse conseguenze delle cosiddette tossico-dipendenze, ossia l'escalation, la tolleranza e l'astinenza (dimostrando come il meccanismo psicologico delle dipendenze sia sempre lo stesso), dall'altra le dipendenze senza sostanza hanno a che fare con comportamenti, abitudini, usi del tutto legittimi e socialmente incentivati, basti pensare al consumo e all'uso di tecnologie informatiche o al fatto di fare shopping.
Si parla infatti di “dipendenze sociali”, come sottolineano Lavanco e Croce (2008):

perchè non si collocano nella dimensione della trasgressione, del vietato, del disapprovato, ma nascono e si costruiscono nella quotidianità perdendo quindi sia la dimensione del lecito e dell'illecito e con essa più facilmente anche quella del limite, tra “ciò che fa bene e ciò che fa male”.

Un altro aspetto rilevante è che appare difficile trovare elementi visibili di emarginazione e di rischio sociale nelle persone coinvolte in questo tipo di problemi, quali segnali premonitori o indicatori di disagio, di sofferenza. La possibilità di dipendenza sembra così una condizione di rischio sociale aperta ad ognuno di noi. Questo ci porta, quindi, a mettere in discussione anche molti degli elementi cardine legati alla prevenzione ed alla cura. E' infatti ancora possibile perseguire la logica dell'evitamento e dell'astinenza nel caso di questo tipo di dipendenze? Perchè se è certo che si possa vivere senza droghe, non è certo pensabile che oggi si possa vivere senza comprare, senza internet e così via. Basti pensare all’uso massiccio della pubblicità nei mezzi di comunicazione che incentiva all’acquisto, al gioco, al consumo, e alla grande utilità di internet.

Le forme di dipendenza sociale si rivelano così a-sociali nelle conseguenze e nei costi dovuti alla progressiva chiusura individuale, alla ripetizione coatta dei comportamenti di addiction, alle conseguenze sui piani familiare e lavorativo ed alla perdita di capitale sociale e di senso ed investimento nella comunità.
Come evidenzia bene Steiner (1993) le dipendenze, comprese quelle sociali, diventano “dei rifugi della mente, ovvero i luoghi mentali in cui ritirarsi quando si desidera sfuggire ad una realtà insostenibile perchè angosciosa” (Lavanco e Croce, 2008). 

Le nuove dipendenze sembrano l’espressione di una stagione culturale nella quale i fenomeni dell’abuso e della dipendenza appaiono contrassegnati più dal “buon funzionamento performativo” e dal bisogno di normalità che dall’immaginario della protesta, della marginalità o del disagio, legato all’uso e/o abuso di sostanze. L’uso di sostanze nella nostra società pare supportare la necessità di mantenere elevati livelli di vigilanza e di energia, come in una condizione stabile di ipomaniacalità, e di attutire così sentimenti di frustrazione, delusione, depressione, insoddisfazione che non si è più in grado di gestire (La Barbera, Sideli, 2008).
L’area delle nuove dipendenze rappresenta, quindi, un terreno di studio nel quale vengono a confluire aspetti di ordine sociale e culturale, insieme ad aspetti di ordine psicopatologico e clinico: un tentativo disfunzionale di dare risposta a specifici fattori evolutivi (Lavanco e Croce 2008).