martedì 9 aprile 2013

“Il coraggio, uno non se lo può dare”… oppure sì?

 Presentati al Congresso SIPPR 2013 i primi risultati dell’indagine sul coraggio in Psicoterapia  a cura di Gianmarco Manfrida e Valentina Albertini


“Il coraggio, uno non se lo può dare!” diceva uno sconsolato Don Abbondio al cardinale Federigo che lo interrogava sul mancato matrimonio di Renzo e Lucia. Questa frase, ripescata fra le memorie scolastiche, ci risuonava in testa come un grande punto interrogativo quando abbiamo iniziato a porci le domande che ci hanno poi condotto a elaborare questa piccola ricerca: don Abbondio aveva ragione? Il coraggio è una caratteristica innata o la si può apprendere con il lavoro e la formazione?

Per dare risposte ad alcune di queste domande, nel corso del 2012-2013 abbiamo portato avanti un’indagine sul tema del coraggio degli psicoterapeuti, argomento forse marginale rispetto ai tanti che vengono trattati nella nostra formazione, ma secondo noi centrale per svolgere la nostra professione.

Obiettivi di questa piccola ricerca erano quelli di riflettere sul tema del coraggio come strumento presente o meno nella "cassetta degli attrezzi“, capire cosa significasse "coraggio" per i nostri colleghi terapeuti, analizzare la percezione rispetto al "coraggio”  come strumento in terapia e verificare se esistessero situazioni in terapia in cui è necessario particolare coraggio, nonché situazioni in cui il coraggio non è necessario.

Per portare avanti l’indagine, abbiamo creato appositamente un questionario semi-strutturato composto da 21 domande, che è stato inviato e raccolto via e-mail e per somministrazione diretta. Le domande sono state analizzate per frequenze di risposte e con analisi qualitativa del testo.

All’indagine hanno partecipato 105 colleghi, per il 60% donne, di cui 77 con Laurea in Psicologia e 23 con Laurea in Medicina. Rispetto alle scuole di specializzazione di provenienza, 74 avevano una formazione sistemico relazionale, 3 cognitivo-comportamentale, 3 strategico, 3 gestaltico,  mentre 13 provenivano da un altro approccio teorico. L’età media dei partecipanti era di 45 anni, e mediamente il nostro campione svolgeva l’attività terapeutica da almeno 11 anni.

Durante il Congresso SIPPR 2013 che si è svolto a Prato dal 7 al 9 Marzo 2013, abbiamo presentato i primi risultati della nostra indagine, che in parte trascrivo in questo post.

Il dato emotivamente più significativo è che il coraggio per i nostri colleghi fa rima con “responsabilità”: è questo infatti uno dei sinonimi ritenuto più inerente dalla maggioranza degli intervistati.

La maggior parte dei nostri colleghi intervistati sostiene che il coraggio sia una risorsa sempre necessaria, mentre 29 partecipanti sostengono che non sia utile con pazienti collaboranti e/o con sintomi lievi, in situazioni ritenute non gravi, e quando siamo sicuri dell’applicazione di tecniche conosciute.

I partecipanti sostengono che il terapeuta migliore non è quello che non ha mai paura, ma quello che riesce a prendersi, con coraggio, le responsabilità delle proprie azioni e delle proprie scelte.

Vista la grande importanza che tutti confermano al coraggio, ci piace sottolineare come per gli intervistati questa caratteristica non sia innata, ma si possa apprendere nel corso del lavoro terapeutico, durante il training e con il sostegno delle supervisioni.

Insomma, ci vuole coraggio per fare il nostro lavoro, e questo coraggio lo apprendiamo col tempo e con la formazione. Non è quindi Don Abbondio che parla nelle nostre teste: anzi, forse ci sentiamo più il Cardinale Federigo….

"E quando vi siete presentato […] per addossarvi codesto ministero, v'ha fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v'ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non v'ha espressamente detto il contrario?”

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